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Equalizzatori e compressori software: quanto tengono testa all’hardware?

Il virtuale ricopre ormai ogni più piccola nicchia di prodotto, sia nei synth che negli effetti. Mentre nel primo comparto permangono alcune perplessità nel confronto con gli strumenti analogici reali, gli effetti virtuali come si confrontano con i corrispondenti effetti fisici?

Da un lato ci sono i produttori di plug-in che modellizzano di tutto, con pannelli di controllo sempre più simili a quelli degli hardware imitati: un trucchetto per ingannare il nostro cervello innescando il ragionamento “se è uguale da vedere, sarà uguale anche da sentire”.

Dall’altro invece ci sono i produttori di hardware bellissimi e costosissimi, compressori da migliaia di Euro pieni di semiconduttori e trasformatori, EQ realizzati con induttori pregiati e manopole dal feeling rotazionale lussurioso. Vi sono addirittura riverberi a piastra come il Lightning Boy Voice of the Gods che in 140 kg di peso testimoniano l’opinione che i grandi riverberi a piastra del passato si possano emulare ancor oggi solo in via elettromeccanica.

Ma… chi ha ragione?

Nel campo dei synth la questione è a mio personalissimo parere chiara: i tantissimi virtuali che negli anni hanno provato a rendere il suono dei synth analogici hanno da una parte dimostrato quanto vicino si possa andare al modello originale, e dall’altra quanto ancora ineffabile, sottilmente irraggiungibile e alla fin fine inimitabile sia un sintetizzatore reale. E non sto parlando solo di un mitico Minimoog, perché a mio parere nemmeno la fisicità e la vitalità di uno strumento che alla sua epoca era considerato “banale” e minore come il Roland JX-8P sono ancora mai state catturate in virtuale.

Ma coi plug-in di effetto, invece, come siamo messi? Qui la situazione è diversa, anche perché i modelli hardware di riferimento sono ancor più inarrivabili. Voglio dire: è possibile catturare con un plug-in da 20 Sterline come l’Overtone FC-70 la magia di un compressor-limiter costosissimo, introvabile e straordinario come il Fairchild 670? È possibile ricreare in digitale tutte le sfumature della piastra dell’EMT 140? È possibile riprodurre le fluttuazioni e le instabilità del nastro del Roland Space Echo RE-201? E la curva di trasferimento Vari-Mu dell’omonimo compressore valvolare Manley? E la sempre mutevole interazione tra le bande di frequenza del Neve 1073?

L’interno del Manley Vari-mu Compressor, uno dei migliori compressori hardware.

Ma soprattutto, se non è possibile, come altro si può fare? Perché vedete, sto parlando in molti casi di effetti introvabili o costosissimi sul mercato del vintage, e in altri casi fabbricati oggi in riedizioni che tuttavia i puristi del suono d’epoca snobbano perché non esattamente “autentiche”.

Io una mia personale idea ce l’ho: la situazione sul fronte dell’effettistica è diversa da quella della sintesi e certi effetti plug-in particolarmente ben fatti possono efficacemente restituire il suono e lo spirito delle macchine originali a chi non si può neanche lontanamente permettere l’hardware. Ho recentemente ascoltato alcune riproduzioni virtuali e debbo dire che sono rimasto sorpreso dalla bontà sonora dei risultati, indipendentemente dall’aderenza più o meno perfetta al modello vintage. Certo, poi è chiaro che se potete permettervi di trovare e comprare un Fairchild 670 originale a 30.000 testoni è sempre meglio, ma secondo me nell’effettistica il virtuale è meno “frustrante” che nella sintesi.

Il Lightning Boy Audio Voice of God, un riverbero a piastra da 140 kg.

Perché se un soft-synth parte “finto” il suono non arriva da nessuna parte neanche con l’intervento di San Francesco. Un effetto virtuale invece può “funzionare” bene perché il suono della macchina reale o del suono acustico microfonato è già su file dopo essere stato registrato, e il VST si limita ad aggiungere un colore che spesso è efficacemente simulabile con un modello matematico. Ho sentito compressori software che emulavano l’UREI 1176 o l’API 2500 e, pur non essendo stellari come le loro controparti hardware che anche in flat riescono a dare un’aura magica al suono, facevano comunque un ottimo lavoro, davano compressione, vitalità, pacca.

Analogamente, ho sentito equalizzatori software suonare benissimo, in maniera naturale e per niente artificiosa, e quindi utilizzabilissimi in produzioni anche di grande impegno. I riverberi infine: beh, qui quasi sempre il problema non si pone visto che sono quarant’anni che essi vengono realizzati digitalmente anche nei processori hardware. E allora, per farli altrettanto buoni in software basta avere un buon algoritmo che affondi le radici nel passato, eventualmente modellizzare le non linearità tipiche degli stadi di ingresso e conversione dei modelli hardware più famosi, e a quel punto davvero il plug-in può tener testa alla macchina fisica di un tempo.

I plug-in UAD girano su acceleratore DSP proprietario e garantiscono prestazioni eccellenti in campo virtuale

Infine, vi è un altro aspetto del quale nessun integralista dell’effettistica analogica sembra voler tener conto: quello della quantità di macchine necessarie contemporaneamente. Perché vedete, se è vero che è possibile fare un disco intero con solo un paio di synth sovraincisi uno alla volta con timbri diversi su più tracce, è però anche vero che di equalizzatori e compressori ne servono tanti tutti insieme, al momento del mixdown. Con una ventina di tracce sull’hard disk è infatti assolutamente normale aver bisogno di equalizzarne almeno dieci, e di comprimerne altrettante. E allora, o metti in campo altrettanti EQ e comp con conseguente esborso-monstre di denaro, o sei costretto ad andare di  overdub passando una traccia alla volta nell’unico compressore che hai (ma in questa maniera non puoi fare regolazioni al volo durante il mixdown…).

Con i processori software invece è tutto facile e immediato: se hai tante tracce da equalizzare, basta che istanzi il tuo plug-in di EQ tante volte quante te ne servono (CPU permettendo…) e il gioco è fatto.

Insomma usare l’effettistica software sembra ormai una strada obbligata per molti piccoli studi dal budget “indipendente”. E in fondo, visti i livelli qualitativi molto buoni raggiunti dai VST odierni, non è questo gran sacrificio…

Giulio Curiel

Giornalista della storica rivista Strumenti Musicali dal 1993 al 2016, ho scritto oltre 1200 articoli su synth, studio technology e computer music. Se non so di cosa parlo, sto zitto.

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