Arturia V Collection 6
La francese Arturia non si riposa mai: dopo i successi nel mondo dell’hardware con i synth serie Brute e i sequencer serie Beatstep, eccola tornare al suo primo amore, ovvero le emulazioni software dei più famosi strumenti vintage. L’ultima collezione si arricchisce di altre quattro imperdibili perle. Qui troverete un test completo dei nuovi strumenti.
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V Collection 6, le novità | Buchla Easel V | Clavinet V | CMI V | DX7 V | Il test| Conclusioni | Scheda tecnica | FAQ
La francese Arturia non si riposa mai: dopo i successi nel mondo dell’hardware con i synth serie Brute e i sequencer serie Beatstep, eccola tornare al suo primo amore, ovvero le emulazioni software dei più famosi strumenti vintage. Non va infatti dimenticato che nel decennio scorso Arturia è salita all’attenzione di tutti proprio grazie alle sue emulazioni virtuali di grandi synth del passato: fu il patron stesso di Arturia, Frédéric Brun, a raccontarmi di persona di come all’inizio la sua idea venne accolta con freddezza da Robert Moog, al quale si era rivolto per presentare il prototipo del Modular V. Brun non si perse però d’animo, migliorò e rifinì il codice e quando alla fine tornò da Moog con la virtualizzazione del suo modulare, il geniale progettista americano ammise serenamente che l’emulazione era davvero buona e quindi concesse l’uso del suo nome.
Molta acqua è passata sotto i ponti da allora, e Arturia negli anni ha emulato in software numerosi altri strumenti dei decenni passati. L’operazione è partita da uno studio meticoloso delle macchine originali, come testimonia la fantastica sala zeppa di hardware vintage che ho potuto visitare presso la sede Arturia di Grenoble:
A un certo punto gli strumenti virtuali prodotti dallo sviluppatore transalpino sono stati talmente tanti che si è pensato di raccoglierli in una Collection acquistabile come pacchetto unico a prezzo fortemente scontato rispetto alla somma dei prezzi delle singole emulazioni. La precedente edizione della V Collection risale a un anno e mezzo fa, e conteneva i seguenti prodotti: Analog Lab 2, ARP2600 V3, B-3 V, CS-80 V3, Farfisa V, Jup-8 V3, Matrix-12 V2, Mini V3, Modular V3, Piano V, Prophet V3, SEM V2, Solina V2, Stage-73 V, Synclavier V, Vox Continental V2, Wurli V2.
Va ricordato in questa sede che la V Collection è un pacchetto multipiattaforma i cui strumenti possono girare sia in Mac che in Windows, e possono agire come programmi stand-alone, oppure come plug-in VST, AAX e AudioUnits. Molto importante è inoltre il recente supporto dello standard NKS di Native Instruments per il tagging dei preset e l‘editing dei parametri: tale caratteristica consente una strettissima integrazione con le master keyboard NI Komplete Kontrol serie S, e un’operatività quasi “da hardware” in loro abbinamento durante le fasi di ricerca dei preset e nella modifica dei parametri di sintesi.
V Collection 6, le novità
La nuova versione 6 che esce oggi 5 dicembre e che abbiamo provato in anteprima mantiene tutte queste caratteristiche e naturalmente tutti gli strumenti sopra citati. Ad essi si aggiungono però importanti novità:
Quattro nuovi strumenti:
- Buchla Easel V
- Clavinet V
- CMI V (Fairlight)
- DX7 V
Due major update con sostanziale revisione delle prestazioni:
- Analog Lab 3
- Piano V2
Tre update nell’interfaccia grafica (GUI):
- Solina V
- VOX Continental V
- Wurli V
- Miglioramenti e bug-fix su tutti gli altri strumenti
Chiaramente l’attenzione di tutti sarà concentrata sui quattro nuovi strumenti virtuali, che ancor di più espandono la palette sonora del pacchetto Arturia in modo da accontentare una platea di gusti e necessità timbriche veramente ampia. Andiamo quindi a vedere questi virtual instrument uno per uno!
Buchla Easel V
Questa è una delle gemme più splendenti della nuova collezione Arturia, se non la più splendente in assoluto: è la prima volta che uno sviluppatore di grande diffusione si cimenta con la virtualizzazione di un Buchla, e quindi ad essa darò molto spazio. Easel è il nome comunemente attribuito a un synth semimodulare progettato da Don Buchla nel 1972 e caratterizzato da una storica tastiera touch sensibile alla pressione e da un sistema di patch point concentrato sotto i comandi di sintesi in modo da non nascondere questi ultimi. Il sistema si basa su una serie di codici colore che rendono più agevole la navigazione tra i vari moduli. Come sempre per Arturia, la rendition digitale vanta un’interfaccia skeumorfica che punta a riprodurre fedelmente il pannello dello strumento originale, a costo di riproporne l’organizzazione davvero stramba per chiunque non sia un Buchla-aficionado. In maniera altrettanto abituale per Arturia sono state aggiunte una barra superiore per la memorizzazione e il richiamo di preset organizzati per categorie, un pannello per ricercare i suoni per nome e tag (Preset Browser), e soprattutto una ammiccante freccina che scopre una sezione di comandi completamente inediti. Lo sviluppatore transalpino usa abitualmente tale sezione nei suoi virtual synth per aggiungere effetti, arpeggiatori e altri device originariamente non presenti nello strumento originale.
Ma andiamo con ordine: il manuale spiega generosamente la filosofia di Buchla dietro al design e alla disposizione dei comandi dell’Easel, e tale lettura è vivamente raccomandata poiché la generazione e modulazione di tale synth sono completamente diverse da quelle di un normale sintetizzatore in sottrattiva. La macchina dispone di un Complex Oscillator che attraverso il wavefolding e le modulazioni permette di aggiungere armoniche a una delle tre forme d’onda di base e generare così timbriche complesse, in maniera inversa rispetto a un synth in sottrattiva ove il suono nasce sulla base di waveform ben definite che vengono poi modificate nella loro struttura da un filtro che invece sottrae loro le armoniche. Un secondo oscillatore denominato Modulation Oscillator può operare su due Range, Low e High: se usato in Low Range si comporta da LFO, mentre quando settato in High Range funge da secondo oscillatore in banda audio. Il Modulation Oscillator dispone di tre waveform (sawtooth, quadra e triangolare) e può modulare in frequenza (FM) e in ampiezza (AM) il Complex Oscillator. Segue un modulo definito Lo Pass Gate: come argutamente dice il manuale, “se avete un background con i synth Eurorack o di scuola Moog, il Lo Pass Gate è un qualcosa difficile da capire per voi”. Personalmente confermo, visto che anche famosi esperti stentano ad apprezzarlo davvero: in pratica si tratta di un passa basso a moderata pendenza che è chiuso in stato di riposo. Per aprirlo si usano altri moduli, che in questa macchina sono il Pulser e l’Envelope Generator. Più è forte la tensione che modula l’apertura, e più otteniamo un segnale in transito che è alto di livello e brillante come contenuto armonico. Questo conferisce un tono molto musicale al synth Buchla, un po’ da strumento acustico se mi passate l’espressione, e rende la macchina particolarmente adatta a timbri percussivi. Il modulo ha due Gate distinti: nel routing di default, attraverso il primo Gate passa il Complex Oscillator e nel secondo Gate passa uno segnale a scelta tra tre opzioni (un segnale esterno entrante attraverso il Pre-Amp, il Modulation Oscillator o di nuovo il Complex Oscillator).
Veniamo ora ai segnali di controllo: il Pulser è un generatore di trigger che può essere attivato da tastiera, dal sequencer o da un suo clock interno regolabile in velocità. Il generatore di inviluppo ha profilo Attack, Sustain, Decay e può operare in modalità a ciclo singolo oppure ciclica: in quest’ultima configurazione, aggiunta da Arturia, opera da LFO. Infine, la Sequential Voltage Source è come il suo stesso nome dichiara una sorgente di cinque voltaggi di controllo posti in sequenza. È utile per scolpire profili di modulazione di uguale durata ma livello diverso stadio per stadio, e può essere triggerata dal gate di tastiera, dal Pulser o dal clock. Il synth, sulla cui complessità bisognerebbe soffermarsi in realtà molto di più rispetto a quanto fatto in queste poche righe, si completa con il portamento e uno stadio di uscita dotato anche di riverbero a molle.
Fin qui la dotazione dello strumento originale, ma l’Easel V dispone anche di numerose altre funzioni aggiunte da Arturia: anzitutto vi è la polifonia, limitata quattro note ma comunque implementata rispetto allo strumento originale che era ovviamente monofonico. Proseguendo, si nota che qui il Pre-Amp è dotato di opzioni per rumore bianco e feedback, espandendo grandemente la palette sonora disponibile. Le novità maggiori stanno però sotto il “solito” pannello visualizzabile opzionalmente che scopre quattro tab nuove di zecca e denominate in maniera evocativa Right Hand, Left Hand, Gravity e (più banalmente…) Effects. Left Hand è un generatore di tensioni di controllo complesse ove cinque sorgenti di modulazione generano ciascuna un profilo variabile nel tempo (attivabile in maniera one-shot, ciclica o ciclica legata al MIDI Song Position Pointer). Attraverso Left Hand è possibile costruire inviluppi complessi, scale ascendenti e discendenti o anche forme di modulazione davvero bizzarre.
Right Hand è un sequencer a 32 step. Ciascuno step può essere polifonico. La sequenza può venir trasposta da una delle quattro sorgenti di tensione di controllo presettate disposte sopra la tastiera e richiamabili al tocco di un pulsante. La terza tab nel pannello “segreto” aggiunta da Arturia si chiama Gravity Universe e la delirante descrizione che ne dà lo sviluppatore è la seguente: un “laboratorio di tensioni di controllo riempito di proiettili che collidono e interagiscono con pianeti, respingenti e muri”. In pratica si tratta di una matrice con due destinazioni di modulazione X e Y che vengono eccitate da “proiettili”. Tali proiettili vengono lanciati alla pressione di una nota oppure dal Pulser o dal Sequencer, dopodiché si muovono, rimbalzano sulle pareti del loro spazio e infine collidono secondo logiche gravitazionali. Se il tutto vi suona complesso è perché lo è davvero, ma l’importante è che il Gravity Universe costituisca una sorgente di modulazione sperimentale e visionaria perfettamente in linea con lo spirito Buchla, e che consenta sperimentazioni selvagge.
Ritorniamo nella nostra comfort zone di tastieristi old-style con la sezione effetti: ci sono due slot indipendenti a disposizione per altrettanti processori, da scegliere tra i “soliti sospetti”: phaser, flanger, chorus, delay, distorsori, EQ, compressori, riverberi.
In definitiva Arturia ha fatto un gran lavoro con Easel V: ha riportato in virtuale un progetto visionario e profondamente sperimentale già di suo, e ha aggiunto visionarietà e sperimentazione ulteriori senza snaturarne l’essenza. Davvero bravi!
Clavinet V
Nettamente più “tranquillo” dell’Easel è il virtuale che riproduce l’Hohner Clavinet, strumento elettropercussivo prodotto tra il 1964 e il 1982 in diverse varianti. Il suo suono è comunemente associato al funky e ai generi più ritmici visto che lo strumento ha suoni dall’inviluppo molto corto, ma in realtà ne hanno fatto ampio uso anche i musicisti della scena Progressive degli anni ’70. La rendition digitale Arturia riproduce fedelmente le caratteristiche dello strumento originale nella sua versione D6 e, al solito, ne aggiunge altre possibili solo in ambiente virtuale. Comuni agli altri strumenti della casa sono il Preset Browser, il meccanismo di navigazione per categorie tra preset e la possibilità di assegnare comandi MIDI CC per affiancare un controller esterno alla gestione via mouse.
I comandi principali sono sei switch posti a sinistra della tastiera: I primi quattro sono denominati Brilliant, Medium, Treble, Soft e servono a determinare l’equalizzazione applicata al segnale prelevato dai pick-up. Gli altri due tasti etichettati A/B e C/D servono a selezionare quale dei due pick-up sarà attivo (A o B), ovvero se verranno attivati entrambi (C = pick-up singolo, D = due pick-up contemporaneamente attivi). Segue poi il comando di Mute Bar che smorza gradatamente la vibrazione delle corde per un suono più “stoppato”. Ecco, sarebbe tutto per un’emulazione fedele, ma appunto Arturia ha aggiunto il solito pannellino segreto con ulteriori funzioni: aprendolo si accede anzitutto alla possibilità di scelta di sei differenti modelli armonici che modificano la timbrica complessiva della macchina. Seguono poi ulteriori comandi a manopola: String Resonance emula diversi gradi di invecchiamento delle corde e influenza il loro timbro e decay; Release Time regola il tempo di smorzamento delle corde; Tuning controlla l’accordatura in un range di +/-10%; Key Release Noise dosa il rumore meccanico dei martelletti quando ritornano in posizione di riposo; Dynamics influenza il rapporto di volume tre le note più deboli e quelle suonate con maggior forza; Hammer Hardness modellizza l’invecchiamento dei martelletti in gomma (che col tempo tendevano a indurirsi) e interviene sull’attacco e la brillantezza del suono; Hammer Noise definisce il rumore dei martelletti in percentuale sul livello di uscita; Pickup Noise infine modellizza il rumore indotto da questi componenti. È possibile intervenire anche sulla velocità di tastiera, in quanto sono editabili graficamente e poi memorizzabili diverse curve di Velocity Response.
La virtualizzazione Arturia aggiunge poi i modelli di una completa catena di effetti stomp-box e una sezione di amplificazione. Quest’ultima si basa sulla rendition di un ampli valvolare di scuola Fender amplificato con uno Shure SM57 il cui posizionamento può essere in asse o fuori asse. L’ampli dispone dei soliti controlli di tono e di un riverbero valvolare, e può essere inserito o escluso. Gli effetti sono attivabili in numero di cinque contemporanei, e sono sempre posti tra l’output del Clavinet e l’amplificatore. Il primo slot-effetti è assegnato a un Wah/Auto-Wah, mentre gli altri quattro sono liberamente assegnabili dall’utente. Si possono inserire Flanger, Phaser, Chorus, Analog Delay, Compressor, Overdrive, Vocal Filter.
Complessivamente un bel lavoro di virtualizzazione, a partire da uno strumento certamente piuttosto monocorde ma che qui può essere personalizzato parecchio (pur restando all’interno delle sue sfumature caratteristiche) e poi effettato fino a renderlo adatto a generi molto diversi.
CMI V
Di tutti gli strumenti-mito degli anni ’80, il Fairlight CMI era certamente il più mitico! Costava come un appartamento, lo usavano tutti i nomi più grossi del periodo (da Peter Gabriel a Herbie Hancock, da Franco Battiato a Hans Zimmer) e soprattutto… Non capivi davvero a cosa serviva! Il Fairlight infatti era una totale primizia nel mondo della sintesi digitale, introduceva il campionamento come lo conosciamo oggi e possedeva un sequencer digitale che apriva la porta al modo di lavorare con le DAW che sarebbe diventato popolare solo nel decennio successivo. Davvero troppo per chi all’epoca era abituato ai tradizionali synth in sottrattiva, e che l’unico “campionatore” che conosceva era il Mellotron! Eppure il Fairlight si affermò velocemente in tutte le maggiori produzioni dell’epoca grazie ai suoi factory sound incredibili e mai sentiti prima, nonché grazie all’opera di artisti come lo stesso Gabriel che tramite un video spiegò alle masse cosa vuol dire campionare un televisore che si rompe o un’esecuzione di musica rituale africana. Oggi le capacità sonore di una moderna DAW sono anni-luce avanti a quelle di un CMI, e del resto già negli anni ’90 un campionatore come l’Akai S1000 lo surclassava in termini di numeri. Quei suoni però sono rimasti un autentico mito, e se aveste la ventura di mettere le mani su un Fairlight originale scoprireste che ancora oggi ha una dinamica e una botta sonora che vi spettinano!
Poiché le chances di accedere a un CMI originale sono però ridottissime, andiamo a vedere cosa offre la rendition digitale di Arturia, riferita in particolare alla versione IIx del mitico Computer Musical Instrument: il CMI V ci accoglie con una schermata pittorica in cui compaiono la tastiera, due altri controller, il mainframe e il terminale a fosfori verdi con la mitica light-pen. In questa pagina si può fare piuttosto poco oltre a cambiare i preset: gli otto slider del controller superiore (Macro Control Unit) permettono l’accesso ai seguenti parametri: Filter, Sample Start, Vibrato Speed, Vibrato Depth, Aux Level, Attack, Damping 1, Damping 2. I sei slider e sei pulsanti a fianco della tastiera possono invece essere impiegati come controlli assegnabili con funzione variabile da patch a patch. Da questa schermata non si può fare altro e anche il terminale è lì solo “per bellezza”. Basta però cliccare su di esso ed ecco che CMI V si anima e vi fa accedere alle quattro pagine di controllo denominate Sound, Sequencer, Mixer, Tune/Map. Andiamole a vedere in dettaglio, ricordando però prima che il CMI V è uno strumento politimbrico a 10 parti contemporanee definite Slot (ogni slot può avere il suo campione o suono sintetizzato), in modo da arrivare a timbri layerizzati anche molto complessi.
Sound è certamente la pagina più complessa e profonda, tanto che si articola nelle sotto-tab Control, Edit, Assign, Functions, Browse. In Control scegliamo anzitutto le modalità Sample (generazione basata sull’uso di un campione), Time Synth (evoluzione delle armoniche nel tempo, a partire da un campione o da un loro inviluppo creato disegnandole a schermo) e Spectral Synth (sintesi addittiva della waveform scomposta in 32 armoniche). Sempre in Control si impostano i parametri-chiave della waveform: Evolution, Tune/Filter, Envelope, Vibrato, Porta/Bend.
Nella sotto-tab Edit si definiscono i punti di Start, Stop e altri parametri vitali del campione, oppure si editano le singole armoniche in caso si sia optato per la modalità Spectral Synth. Nel caso si abbia a che fare con un sample, è possibile trasformarlo in un insieme di armoniche da editare poi con questo tipo di sintesi, ovvero farne la resintesi. Nella sotto-tab Assign si mappano i diversi controller dell’interfaccia a vari parametri di sintesi di CMI V, mentre in quella denominato Functions si gestiscono sei funzioni di modulazione indirizzabili ad altrettante destinazioni. Il motivo per cui si parla di “funzioni” e non di semplice matrice di modulazione è che per ciascuna di esse si può disegnare graficamente il suo andamento temporale o la sua risposta al controller prescelto come sorgente di modulazione. In modalità Time la curva disegnata (sono disponibili fino a 16 punti) può essere one-shot, in loop attivata dal trigger di tastiera, o in loop legata al Song Position Pointer. Nella sotto-tab Browse infine è possibile scegliere il campione da utilizzare per lo Slot corrente: in questo momento sono disponibili i campioni del Fairlight CMI IIx, mentre più avanti dovrebbe arrivare la possibilità di importare anche altri sample.
Apriamo ora la tab Sequencer, erede dalla mitica Page R del CMI originale: qui i 10 Slot possono venire sequenziati individualmente attraverso otto pattern diversi, ciascuno con lunghezza fino a 32 step. Per ogni step è possibile stabilire altezza della nota, velocità, durata. I pattern possono essere eseguiti individualmente, oppure linkati per un’esecuzione continuativa. Per i pattern si possono impostare i parametri di Swing, Polyrhythm (ogni pattern può avere lunghezza diversa), Reset (numero di step eseguiti in modalità poliritmica.
Eccoci giunti alla pagina Mixer, ove regoliamo livello, panpot e mandata effetto per ciascuno Slot, e poi alla pagina Tune/Map che invece regola l’estensione di tastiera e la root-note, sempre per ciascuno Slot. Chiudiamo l’analisi di CMI V con un’occhiata agli effetti disponibili, che sono Analog Chorus, Delay, Analog Delay, Phaser, Pitch Shift, Leslie, Flanger, Distortion, EQ, Comp, Limiter, Destroy, Auto Pan e Reverb.
Complessivamente la realizzazione Arturia appare ben fatta e capace di portare le sonorità e il modo di lavorare del mitico Fairlight agli attuali synthetisti In The Box. È un’occasione sicuramente ghiotta, e grazie alla quale c’è davvero molto da imparare: l’uso di campioni singoli, corti e sgranati per i tempi odierni, nonché la sintesi addittiva e la resintesi aprono mondi di sperimentazione davvero straordinari, e dimostrano quanto creativi erano gli strumenti del passato: certamente una grande boccata d’aria rispetto a cambiare distrattamente i preset di Massive o Serum! Il CMI V è dunque uno strumento molto bello, e suona straordinariamente bene, con forza ed energia, matericità ed estensione. Non è ovviamente lo strumento più versatile in assoluto, ma un arnese su cui perderci le notti assolutamente sì!
DX7 V
Adesso vi svelo un segreto: tutti noi sappiamo che esiste un emulatore di DX7 buono e gratuito che si chiama Dexed. Fin qui niente di nuovo, vero? Però il segreto è che all’Arturia lo sanno anche loro!
Scherzi a parte, se qualcuno si sta chiedendo il perché di un prodotto a pagamento per emulare il DX7 quando esiste già Dexed, la spiegazione è molto semplice: perché questo nuovo soft-synth di Arturia fa molto di più, e offre possibilità molto più ampie dello strumento originale espandendone con coerenza i suoi territori timbrici. Non rifarò qui la storia del mitico DX7 perché ce ne siamo già occupati in questo lungo e dettagliato articolo (clicca per aprire in un’altra finestra), ma qui mi preme ricordare che il vero “suono DX” è a mio parere quello dei modelli a sei operatori, mentre i vari DX9, DX 21, DX27, DX100, TX81z e compagnia varia usano sì la stessa tecnica di sintesi di base ma la implementano in un modo diverso e alla fine conducono a risultati sonori diversi.
DX7 V fa tutto ciò che fa un DX7 originale, ovvero sintesi FM a sei operatori con waveform sinusoidale, 32 algoritmi, inviluppi quattro tempi/quattro livelli. Non a caso è possibile importare qui i banchi SysEx dello strumento originale e riprodurli fedelmente. Una delle opzioni di DX7 V è quella della risoluzione di uscita, che può essere settata a 12 o 24 bit: con il primo setting è possibile emulare la timbrica sgranata del DX7 Mark I, mentre col secondo ci si riferisce alla maggiore purezza e trasparenza del DX Mark II (che pure aveva una conversione a 15 bit).
La feature list di DX7 V è tuttavia molto più estesa di quella di un DX7 originale, tanto che qui devo forzatamente contenermi a un semplice elenco di specifiche:
- 25 waveform selezionabili per ciascun operatore
- Switch per l’inversione di fase della waveform
- Sync su ciascun operatore
- Feedback indipendente per operatore
- Modalità Unison monofonica e polifonica con detune regolabile
- Due LFO con più waveform e sincronizzabili al clock della DAW
- Filtro risonante per ciascun operatore, con tre diverse opzioni selezionabili
- Tre tipi di inviluppo: oltre al modello originale quattro tempi/quattro livelli vi sono le opzioni DADSR e multisegmento (MSEG)
- Gli inviluppi MSEG sono loopabili e possono essere sincronizzati al clock per generare figure ritmiche di modulazione
- Tre inviluppi addizionali rispetto a quelli degli operatori: Pitch, Mod1 e Mod2
- Funzionalità Copy/Paste tra operatori
- Un’ampia matrice di modulazione
- Macro assegnabili a più controlli, in modo da modificare radicalmente la timbrica con l’intervento su un solo controllo
- Sequencer e arpeggiatore
- Ampia dotazione di effetti di bordo: chorus/flange/phaser, reverb, delay, EQ, distortion, filter, ecc…
- Fino a quattro effetti possono essere usati contemporaneamente, e il loro routing può essere seriale oppure con due coppie parallele
Come si vede, attingendo a queste features ci si può espandere molto rispetto alle tipiche timbriche DX, restando tuttavia nei territori sonori tipici della sintesi FM che è così caratteristica come sonorità. Per gestire questa messe di comandi, Arturia ha dovuto rinunciare a una fedele rappresentazione del pannello originale secondo i canoni dello skeumorfismo che le sono cari: DX7 V riprende l’estetica e il colori dello strumento originale, ma la disposizione dei comandi è completamente nuova. Nel pannello principale quattro cursori denominati classicamente Data Entry in realtà comandano altrettante macro assegnabili. Vi sono poi controlli per accordatura, modulazione degli operatori in ampiezza e in frequenza, finestra per la selezione dell’algoritmo, manopole per l’intensità del feedback e del Pitch Envelope, comandi del portamento e dell’arpeggiatore. Da qui in poi tutto il resto è “Advanced Features”, ovvero quelle che si raggiungono su quattro pannelli addizionali (Overview, Envelopes, Mods, FX) acceduti tramite pressione sulla solita e solo apparentemente innocente freccina posta in alto a destra.
Nella tab Overview si gestiscono i parametri di dettaglio di ciascun operatore, compresa la selezione delle 25 waveform introdotta da Arturia e il livello del feedback. Qui vi è inoltre il nuovo filtro risonante, che può avere profili LPF, BPF, HPF. Da notare che tale filtro potrà essere poi modulato in cutoff e risonanza nella apposita tab Mods! In questa maniera il DX7 diventa un synth multiwaveform con una sintesi FM completata da un filtro tipico della sintesi sottrattiva. Notevole la possibilità di copiare i parametri da un operatore all’altro, e anche quella di editare più operatori contemporaneamente.
Nella tab Envelope si gestiscono gli inviluppi per i sei operatori, per il pitch e i due ausiliari denominati Mod 1 e Mod 2. Per ciascuno è possibile selezionare il profilo tradizionale (modalità DX7), quello DADSR e quello multisegmento (MSEG) che ammette fino a 16 step e possibilità di looping. Da notare che per il loop può essere specificato sia il punto di inizio che quello di fine.
Nella tab Mod si accede alla matrice di modulazione che ammette ben 24 slot e che è completissima sia a livello di sorgenti che di destinazioni: praticamente tutti i modulatori possono essere usati come sorgenti, e tutti i parametri timbrici come destinazioni. Qui troviamo poi i due versatili LFO e il sequencer a step (fino a 32 passi). Quest’ultimo modulo aggiunge ulteriore entusiasmo a quello generato dalla struttura di sintesi “espansa” rispetto al DX7 hardware: si tratta infatti di un sequencer che può girare in modalità free-run o essere triggerato da una nota di tastiera, ha numero e durata degli step liberamente configurabile, può sequenziare in modalità Forward/Reverse/Alternate/Random. Inoltre per ciascuno step è possibile attivare la funzione Ramp che attua una transizione graduale allo step successivo, e stabilire una condizione di Trigger che reinnesca gli inviluppi. Davvero, davvero notevole!
Spostandoci alla tab FX si accede ai quattro slot di effetti, configurabili come connessi in seriale o in parallelo a due a due. Sono a disposizione algoritmi di Phaser, Flanger, Analog Delay, Delay, Analog Chorus, Reverb, Param EQ, Filter, Overdrive, Destroy e Compressor.
In definitiva questo DX7 V mi ha generato sincero entusiasmo perché va molto oltre alla semplice emulazione del DX7 originale e introduce funzioni e soluzioni di programmazione davvero geniali, e soprattutto preziosissime per la ricerca timbrica. Teoricamente lo si potrebbe usare anche come semplice synth in sottrattiva, ma è proprio la combinazione tra la generazione FM e le funzioni aggiunte da Arturia che lo rende una macchina da suoni esplosiva, nonché un laboratorio di programmazione incredibile. Davvero un’altra gemma di questa versione 6 della V Collection!
Il test
Gli strumenti si installano individualmente all’interno dell’Arturia Software Center, ovvero la piattaforma con cui Arturia gestisce autorizzazioni e update in base al singolo account-utente. Il primo test è ovviamente per il suono: Buchla Easel V colpisce infinitamente per le sue timbriche inedite, soprattutto in ambito desktop, e se non siete pratici di sintetizzatori West Coast (ovvero la scuola di pensiero “sintetico” che fa riferimento proprio a Buchla) all’inizio starete per un bel po’ a grattarvi la testa per capire come da certe patch possano uscire sequenze animate, borbottii, modulazioni che trasformano ciclicamente un suono nel suo contrario. Complessivamente è un’esperienza esaltante, specialmente per chi ha lavorato sempre e solo con la sintesi sottrattiva, mentre la qualità timbrica è davvero ottima, con un suono pieno, tridimensionale e molto esteso sia in alto che in basso.
Un passaggio più veloce è quello che faccio verso il Clavinet V, che si delinea subito come strumento dalla timbrica nasale e forse un filino sintetica rispetto al modello sonoro originale. La sensazione è che il suono sia già “pre-prodotto” e simile a quello di un Clavinet registrato su disco. Usando gli stomp-box questa sensazione aumenta, ma paradossalmente ciò apre orizzonti creativi e non solo emulativi all’uso dello strumento: chi ha detto che deve servire per forza solo se fate funky?!?
Arriviamo a CMI V: qui le timbriche sono potentissime e davvero molto aperte, con un grit digitale notevole e un generale senso di presenza che si rivela vincente. L’interazione è complessa, ma proprio per questo molto creativa, e in genere lo strumento nella sua interezza è un continuo invito alla sperimentazione. Ritorna dunque dai decenni passati il sampling inteso come tecnologia creativa e non meramente emulativa, e i suoni del vecchio Fairlight, se usati con perizia e senza scopiazzare l’uso che se ne faceva nei dischi degli anni ’80, appaiono straordinariamente sintonizzati con il gusto sonoro contemporaneo. Probabilmente la più efficace emulazione di Fairlight tra quelle finora presenti sul mercato.
Ultimo a essere testato è il DX7 V, e qui è una festa di sintesi ed editing: la riproposizione dei vecchi SysEx è valida e convincente (anche se la macchina reale ha ancora un pelino di vantaggio), ma è nell’esplorazione dei preset nuovi che DX7 V entusiasma e dichiara il suo potenziale creativo enorme. Ritmico, digitale, sgranato, multidimensionale: questi gli aggettivi che vengono in mente provando questo strumento. Che comunque, se e quando vuole, sa essere anche patinato, “polished”, e ricco sicuramente più di un DX7 originale. Davvero un winner della V Collection 6, che per disvelarsi completamente richiede solo tanto tempo e tanta esplorazione.
Un’occhiata infine ai carichi di sistema: i nuovi strumenti non sono pesantissimi come i plug-in di altri sviluppatori (che personalmente trovo criticabili, quasi volessero mettere nella testa degli utenti l’equazione “plug-in pesante = plug-in buonissimo”). Nondimeno, i nuovi arrivati non sono proprio delle piume, specialmente con riferimento a Buchla Easel V e DX7 V: diciamo che con certe patch arrivano a papparsi un bel terzo di una CPU di ultima generazione come la mia Intel i7 7700k. Più morigerato è il CMI V, e abbastanza tranquillo anche il Clavinet V. Complessivamente quindi non si tratta di strumenti che richiedono una macchina dedicata, ma sicuramente un PC vecchio di non più di tre anni è raccomandato.
Conclusioni
La Arturia V Collection 6 è probabilmente il pacchetto di strumenti virtuali più attraente oggi in commercio: negli anni, alle gemme più splendenti della produzione precedente (a mio strettissimo parere gli analogici e storici ARP2600 V e SEM V2) si sono aggiunti i miti digitali Synclavier V (con la versione 5) e CMI V (con questa nuovissima versione 6). Già questi quattro strumenti basterebbero a differenziare il package Arturia da tutto il resto del mercato, ma poi a favore di questa ultima edizione ci sono il nuovo e incredibile DX7 V, un Clavinet V che fa sempre comodo, un Piano V che nella attuale release aggiornata suona davvero bene, un Analog Lab che permette immediato accesso a tutti i grandi suoni qui contenuti, e poi soprattutto lui, l’inimitabile e insostituibile Buchla Easel V, un’autentica primizia nel mondo dei virtuali e un’occasione semplicemente imperdibile per sperimentare con un tipo di sintesi e di concetti che non si trovano da nessuna altra parte, e che in hardware possono essere raggiunti solo spendendo parecchi quattrini. Questo è l’esaltante primo piano della nuova V Collection 6, mentre sullo sfondo della tela restano i classici di sempre, ovvero i Moog Mini V e Modular V, le riedizioni dello Yamaha CS80 e dei Prophet 5/VS, il Jupiter-8, i pianoforti elettrici e gli organi… Sì, davvero un package imperdibile per chi vuole raggiungere il suono delle più grandi macchine del passato attraverso la virtualizzazione in software! Infine una parola sul prezzo: nella fase di lancio, V Collection 6 sarà in offerta a 399 Euro, una cifra davvero convenientissima in rapporto al tanto offerto. Dopo il 10 gennaio 2018 il prezzo passerà a 499 Euro, ma anche a questa condizione, la cifra richiesta deve ritenersi altamente competitiva in rapporto a quanto si ottiene in cambio di essa.
Scheda tecnica
Prodotto: Arturia V Collection 6
Tipologia: Raccolta di strumenti virtuali
Dati tecnici dichiarati:
Formato: Stand alone, AAX, AU, VST 2.4 e VST 3
Richieste di sistema: Windows: Win 7+ PC: 4 GB RAM; 2 GHz CPU. 1GB free hard disk space. OpenGL 2.0 compatible GPU. Apple: 10.10+: 4 GB RAM; 2 GHz CPU. 1GB free hard disk space. OpenGL 2.0 compatible GPU
Protezione: Autorizzazione tramite Arturia Software Center
Requisiti sistema: Mac OS-X 10.8 o superiore, Windows: 7 o superiore, CPU 2 GHz, RAM 4 GB
Prezzo: 499 Euro – In offerta lancio a 399 Euro dal 5/12/2017 al 10/10/2018
Prezzi upgrade: 199 € da V Collection 4 e V Collection 5
Distributore: Midiware
FAQ
Ma che cos’è lo skeumorfismo?
Secondo la definizione che ne ha dato Alessio Lana sul Corriere della Sera, “lo skeumorfismo è una corrente grafica che rappresenta un oggetto digitale mimando le sembianze del suo corrispettivo nel mondo reale per un motivo puramente estetico, senza che la somiglianza abbia un senso pratico”. In pratica, nell’ambito degli strumenti virtuali si usa la rappresentazione skeumorfica sia per facilitare l’interazione con l’utente grazie al richiamo di pannelli a lui familiari, sia per indurlo psicologicamente a ritenere di avere a che fare con lo strumento reale.
Gli strumenti virtuali Arturia sono acquistabili anche separatamente?
Sì, attraverso il sito Arturia è possibile acquistarli uno per uno al prezzo di 99 Euro. L’operazione però è conveniente soprattutto se interessano uno o due strumenti soltanto, altrimenti conviene prendere la Collection.
Ci sono offerte di upgrade per i proprietari delle precedenti versioni?
Sì, Arturia fa offerte personalizzate in base ai prodotti già registrati da ciascun utente. In pratica, sarà sufficiente entrare nella sezione “My Arturia” del sito www.arturia.com e guardando nella sezione “My Products” compariranno le offerte di upgrade applicabili alla propria situazione.
Serve un PC molto potente per far girare al meglio queste emulazioni?
I virtuali di Arturia non sono mai stati tra i più temibili “divora-CPU” presenti sul mercato, però già da qualche anno il livello di realismo degli ultimi prodotti è aumentato, e con esso anche il consumo di risorse di calcolo. In pratica, è preferibile disporre di un computer di potenza almeno media e di anzianità non superiore a tre anni.