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Guida all’acquisto di un registratore a cassette

Un registratore a cassette? Nel 2018? Ma perché?!? Beh, tecnicamente la cassetta è certo una piattaforma vecchia e poco performante. Eppure la sua fisicità, la sua immediatezza d’uso e il suo suono dolcemente saturabile possono essere la chiave del suo ritorno…

 

Recentemente sul gruppo Facebook SynthCafé c’è stato un acceso dibattito sul ritorno della cassetta, o più correttamente Compact Cassette come la definiva l’invenzione Philips del 1962: una piccola ma agguerrita pattuglia di piccole etichette e musicisti indipendenti stanno dimostrando negli ultimi anni un rinnovato interesse per questo formato che tutti ritenevano morto e sepolto a causa dei suoi tantissimi limiti. E allora, chi ha ragione? Chi ritiene la cassetta irrimediabilmente superata e anzi orrendo accrocchio paleotecnologico malsuonante da dimenticare il prima possibile? O piuttosto chi invece su questa piattaforma ha ricominciato a investire tempo e passione? E poi, sotto sotto cova la madre di tutte le domande: la Compact Cassette è davvero superata, o invece è degna di essere rivalutata anche sonicamente come è successo al suo cugino LP?

 

Breve storia della cassetta

Andiamo con ordine, e vediamo un po’ di capire meglio questo formato: inizialmente era nato per scopi lontanissimi rispetto all’Hi-Fi, e segnatamente per registrarci sopra appunti vocali. La cassetta era monofonica, limitata in banda attorno ai 10 kHz nei casi migliori e affetta da un fruscio di fondo ad alta frequenza (definito molto efficacemente “hiss” in inglese) che ne limitava il rapporto segnale/rumore a una cinquantina di deciBel. Questi dati tecnici erano la conseguenza di un nastro molto stretto che in soli 3,81 mm doveva contenere ben quattro tracce (due in un senso di scorrimento più due nel senso inverso, in modo da avere due lati), e di una velocità contenuta in 4,75 cm al secondo. Questi parametri dimensionali erano necessari per contenere la dimensione della cassetta e quindi il suo volume occupato, e nascevano dalla scelta di usarla per scopi in cui la fedeltà non era certo il primo fattore considerato.

Nel corso degli anni ’70 però la situazione cominciò ad evolvere in maniera estremamente interessante: l’Hi-Fi si popolarizzava, soprattutto grazie ai costruttori giapponesi, e stava entrando in tantissime case. Serviva dunque un supporto su cui registrare gli LP con una fedeltà comparabile a quella del mezzo vinilico. Nel 1971 venne rilasciato da Advent Corporation un registratore a cassette che usava due importanti accorgimenti tecnologici per migliorare la qualità sonora: 1) era presente un riduttore di rumore Dolby Type B che, grazie a un meccanismo che in registrazione esaltava le frequenze acute e in riproduzione le attenuava della stessa misura, permetteva di ridurre il fruscio tipico del mezzo; 2) erano supportati oltre che i tradizionali nastri all’ossido di ferro anche nastri al biossido di cromo. Questo materiale, sviluppato dall’azienda chimica americana Dupont e dalla concorrente tedesca BASF, permetteva una maggiore estensione verso le alte frequenze ma richiedeva l’uso di registratori capaci di una diversa corrente di premagnetizzazione del nastro (detta anche Bias) e di una diversa equalizzazione di riproduzione.

Advent Model 201

La rincorsa tra cassette-recorder e alta fedeltà era iniziata: ben presto furono numerosi i registratori dotati di Dolby e selettore “Chrome”. Una generale, aumentata cura costruttiva permise ai costruttori di spremere sempre migliori prestazioni da questo supporto. Fu il giapponese Nakamichi 1000 del 1973 (nella foto di apertura) il prodotto-bandiera di questo trend: grazie a una configurazione a tre testine (cancellazione/registrazione/riproduzione, ognuna ottimizzata per fare il suo specifico lavoro), a un’elettronica sofisticatissima e a una struttura a doppio capstan che creava un “anello” di nastro davanti alle testine in modo da rendere la velocità il più costante possibile, fu ottenuta una risposta in frequenza da 20 a 20.000 Hz, ovvero la banda che per definizione è associata da sempre all’alta fedeltà. Il Nakamichi 1000 era costosissimo, ma in pochi anni le sue esclusive tecnologie andarono a ricadere anche su modelli più economici, e così divenne possibile per molti acquistare un registratore a cassette realmente Hi-Fi.

Il Pioneer CTF 1250, uno dei più bei registratori a cassette dei primissimi anni ’80

 

I riduttori di rumore

Come abbiamo visto sopra, molti sono stati gli accorgimenti adottati negli anni per migliorare la qualità audio dei registratori a cassette. Il principale è stato certamente quello di ingaggiare dei riduttori di rumore per superare i 50/55 dB di rapporto segnale rumore di un registratore a cassette privo di tale dispositivo: il citato Dolby B del 1968 permise in un balzo di guadagnare dagli 8 ai 10 dB di rapporto segnale/rumore, portando così la dinamica delle cassette al di sopra dei 60 dB e quindi più che sufficiente per contenere quella dei dischi in vinile. Il “Dolby” (come veniva comunemente definito) doveva essere usato sia in registrazione che in riproduzione, e così in poco tempo tutti i registratori da casa, i player portatili e quelli da automobile ne furono dotati in modo da garantire una compatibilità universale alle cassette registrate con tale sistema. Nel 1980 la Dolby Laboratories rilasciò il nuovo e più efficace Dolby C, che raddoppiava l’azione della versione B e permetteva un guadagno di circa 15 dB nel rapporto segnale/rumore. Grazie ad esso la Compact Cassette arrivò a lambire e superare i 70 dB di dinamica, iniziando quindi a rivaleggiare con la dinamica che da lì a poco avrebbero offerto i primi dispositivi digitali. Benché diffusissimo, il Dolby C non raggiunse mai la popolarità del B e quindi si prestava soprattutto a registrare nastri da riprodurre poi con lo stesso apparecchio ma non da mandare in giro: poteva infatti capitare che chi registrava avesse un recorder con Dolby C, ma se poi chi ascoltava non aveva tale dispositivo sul proprio player la fedeltà di riproduzione non risultava ottimale. Venne poi il Dolby S nel 1989, ma la sua diffusione fu ancora minore. Infine, va citato il sistema di riduzione di rumore dbx (scritto rigorosamente in minuscolo), concorrente e alternativo a Dolby: si basava su una compressione/espansione molto marcata, e questo permetteva di portare la dinamica della cassetta alla stratosferica (per i tempi) cifra di 85 dB circa. Il dbx, con la sua forte codifica simmetrica, rendeva tuttavia le cassette registrate con esso semplicemente inascoltabili su un player non dotato di dbx, e questo ne decretò uno scarsissimo successo di mercato. Inoltre, esso introduceva degli artefatti che si estrinsecavano in un effetto “pompaggio” soprattutto con materiale dotato di grande dinamica a bassa frequenza (nei passaggi “solo” di basso o batteria, per esempio).

 

I diversi tipi di nastro

Il selettore per i diversi tipi di nastro

Un altro fronte su cui costruttori di registratori e produttori di nastri lavorarono molto per migliorare le prestazioni della cassetta fu quello delle formulazioni dei materiali magnetici dei nastri su cui registrare: l’iniziale ossido di ferro (definito in seguito Type I) venne in poco tempo surclassato dal citato biossido di cromo (Type II), che garantiva maggiore estensione alle alte frequenze. I nastri “al cromo” erano però anche più proni alla distorsione e avevano minore resistenza alla saturazione, per cui non rappresentavano nemmeno essi la soluzione ideale. Successivamente apparvero quindi dei nastri al “ferro-cromo” (Type III) che richiedevano registratori dotati di regolazione apposita e univano l’estensione in alto del cromo con la buona modulabilità magnetica del ferro. Il vero e proprio salto di qualità nelle mescole magnetiche fu tuttavia raggiunto solo coi nastri “metal” (Type IV) diffusisi a partire dal 1979 e basati su formulazioni di particelle metalliche pure. I nastri al metallo avevano infatti una prestazione notevolmente più alta dei predecessori, sia in termini di estensione in frequenza che di capacità di modulazione e quindi di sopportare livelli di registrazione elevati. Va evidenziato che per registrare su ciascuno dei tipi di nastro citati sopra, il registratore deve essere dotato di un selettore (Tape Selector) con l’apposita posizione: non è infatti possibile usare un nastro al cromo o ancor peggio un nastro metal su un recorder che non abbia quella selezione, pena l’ottenimento di una registrazione fortemente deficitaria di livello e/ alte frequenze. La riproduzione è invece meno problematica: le cassette al ferro richiedono un’equalizzazione di riproduzione con costante di tempo di 120 µs e possono essere riprodotte su qualsiasi player in commercio; i nastri al cromo, ferro-cromo e metal invece richiedono un’equalizzazione a 70 µs, per cui qualsiasi riproduttore con posizione “Chrome” o “Type II” riprodurrà correttamente tutti essi.

Sony Metal-XR, una delle migliori cassette metal di Sony

 

Bias e Dolby HX

Come visto sopra, la registrazione magnetica su nastro avviene sommando il segnale audio a un segnale costante e molto forte ad altissima frequenza, definito Bias o corrente di premagnetizzazione: il solo segnale audio non sarebbe infatti sufficiente per magnetizzare permanentemente ed efficacemente il nastro, per cui esso deve essere sommato al Bias. La quantità di Bias da impiegare per magnetizzare correttamente un nastro non è tuttavia fissa, ma dipende dal tipo di materiale magnetico usato. Per questa ragione esistono le diverse posizioni di Tape Selector che  abbiamo citato prima: i nastri al ferro, al cromo, al ferrocromo e al metallo richiedono tutti un Bias diverso e il selettore lo imposta proprio nella quantità richiesta da ciascuna famiglia di nastri. Anche all’interno della stessa famiglia di nastri però il Bias richiesto varia da formula a formula: può capitare così che due nastri al cromo di marche diverse suonino diversamente perché richiedono correnti di Bias leggermente diverse. Per ovviare a questo problema, molti registratori apparsi dai tardi anni ’70 in poi sono stati dotati di manopola per la regolazione fine del Bias, in modo da adeguare la corrente di premagnetizzazione alle caratteristiche di ciascun nastro: si tratta a mio parere di una dotazione assolutamente essenziale per sfruttare al meglio i diversi tipi di nastro in commercio.

Sempre sul fronte del Bias va registrata l’esistenza del Dolby HX-Pro, inventato nel 1980: a differenza degli altri prodotti recanti il marchio Dolby e dedicati alla registrazione, l’HX-Pro non era un riduttore di rumore, ma un sistema di modulazione dinamica del Bias che aveva lo scopo di adeguare la corrente di premagnetizzazione in funzione del contenuto di alte frequenze del segnale musicale, e in questa maniera permettere un livello di registrazione più alto, più dinamica e meno rumore. Il Dolby HX-Pro è quindi un’utile addizione spesso presente nei recorder prodotti nei secondi anni ’80, e a differenza degli altri prodotti a marchio Dolby non richiede che il riproduttore abbia un apposito circuito di decodifica in quanto tutta la sua azione si esplica in registrazione.

 

Due testine o tre?

Normalmente i registratori a cassette impiegano uno schema a due testine: la prima è la testina di cancellazione, mentre la seconda è la testina combinata di registrazione/riproduzione che cambia funzione a seconda dello stato di lavoro in cui si trova la macchina. I recorder a cassette più sofisticati però erano equipaggiati di tre testine separate, di cui la prima era sempre per la cancellazione ma la seconda era dedicata alla registrazione e la terza alla riproduzione. In questa maniera si ottenevano due benefici: anzitutto le testine di registrazione e riproduzione potevano essere costruite in maniera diversa, e ciascuna ottimizzata per la funzione che doveva svolgere; in seconda battuta, con le tre testine diventava possibile il monitoraggio del nastro in tempo reale, perché la testina di riproduzione leggeva il segnale appena depositato su nastro da quella di registrazione e, con un commutatore che sceglieva se mandare in ascolto il segnale in ingresso o quello registrato (Tape Monitor), valutare la qualità del processo. Ancora oggi a mio parere le tre testine sono una dotazione fondamentale: ascoltando in tempo reale è possibile regolare a orecchio il Bias Fine in modo ottimale, e inoltre si può scegliere e dosare il volume di registrazione in modo da valutare la quantità di saturazione che il sistema registratore/nastro sta immettendo nel segnale. Stando bassi di livello è infatti possibile optare per una timbrica più pulita ed estesa, mentre spingendo gradatamente sul recording level è possibile imballare sempre di più il suono saturandolo, e attuare quella compressione in dinamica e in banda che oggi molti utenti del nastro in cassetta ricercano.

Un meccanismo a tre testine: 1) capstan secondario 2) testina di cancellazione 3) testina di registrazione 4) testina di riproduzione 5) capstan principale 6) pinch roller

 

“Tutto bello, ma che me ne faccio di un registratore a cassette nel 2018?!?”

Quando la cassetta era all’apice del suo successo, essa non aveva alternative paragonabili per costo e praticità, ma da quando esiste la registrazione digitale vi sono sicuramente numerosi sistemi per fissare in audio i propri lavori con qualità maggiore. Dagli anni ’90 in poi si sono infatti succeduti il DAT, il CD registrabile, e poi la registrazione su hard disk e su memorie a stato solido. Perché dunque usare nel 2018 ancora le Compact Cassette? Beh, i motivi possono essere molti, e del resto nessuno qui sta dicendo che la cassetta può rivaleggiare in fedeltà coi media digitali e che intende sostituirsi ad essi. Ma nonostante questo, essa costituisce un colore in più a disposizione del producer digitale, una risorsa timbrica e distributiva assolutamente dotata di validi argomenti per farsi ancora apprezzare. Anzitutto alcuni artisti hanno scoperto che il suono analogico, organico e dolcemente saturato della cassetta rende piacevoli le loro sonorità, e specialmente per certi generi e strumenti esso contribuisce a definire e a creare un sound di un certo tipo. Non sto parlando di solo Lo-Fi, perché non è detto che la cassetta debba suonare necessariamente cupa e impastata: dosando opportunamente nastro, Bias e livello di registrazione è possibile ottenere da essa tante diverse sonorità, e andare da un suono imballatissimo che può rendere al meglio col punk, a un suono caldo, aperto e avvolgente che può adeguarsi a meraviglia ai generi più black e più lounge. La parola chiave è quindi “sperimentare”, ovvero provare diverse combinazioni di registrazione fino a definire il suono che si vuol raggiungere.

Vi è poi un altro aspetto: la cassetta sta tornando di moda perché è un oggetto fisico, e c’è una nicchia di musicisti e appassionati che soffrono l’incorporeità e l’impermanenza della musica su file. Uscire dalla propria sala prove o da un concerto al quale si è assistito con una cassetta in mano può contribuire a “sentire” di portarsi via un pezzetto della musica che si è appena ascoltata. Insomma la cassetta colma un gap che la musica liquida sta sempre più scavando nei nostri cuori di appassionati a causa del suo essere evanescente.

Infine, vi è da rilevare che il processo produttivo della cassetta è immediato e intuitivo, non richiede l’uso di alcun computer e può essere attuato senza tanti pensieri: in studio è possibile registrare subito un demo (anche di versioni intermedie e non finite) su cassetta, e io ricordo benissimo quando 25 o 30 anni fa si andava in sala prove, si studiava una nuova versione di un pezzo, e poi tornando verso casa si riascoltava con lo stereo della macchina la registrazione fatta poco prima.

Analogamente, per un artista indipendente o una piccola etichetta è assolutamente possibile effettuare delle piccolissime tirature su cassetta di un proprio lavoro e poi venderle per posta o distribuirle ai concerti. Le cassette si registrano in proprio, non occorre rivolgersi a nessuno stampatore, e si possono realizzare anche al volo quando servono.

 

“Ok, ma che registratore mi compro?”

Sul mercato esistono diversi tipi di registratori a cassette, destinati ad usi diversi: anzitutto vi sono i registratori stereo, quelli che negli anni ’70 si chiamavano “piastre” o all’inglese “cassette deck”. Sono i modelli che personalmente vi consiglio, in quanto li potete usare per riversare il vostro master fatto nella DAW e “riscaldarlo” così un po’, oppure per registrare direttamente l’uscita del mixer analogico con cui lavorate dal vivo e saltare così ogni conversione digitale. Con un registratore stereo è possibile anche registrare una parte di batteria, dargli quella giusta “strizzatina” analogica che consiste in una forma di compressione molto naturale, in un dolce roll-off delle frequenze acute e in un complessivo effetto di “amalgama” che per alcuni generi può essere ideale e assai difficilmente riproducibile con emulazioni virtuali. La parte di batteria così registrata può essere poi riconvertita in digitale, allineata temporalmente al resto delle tracce presenti sulla DAW e quindi usata in un processo produttivo più ampio e comunque pienamente appoggiato sulle tecniche attuali.

Sconsiglio invece l’adozione generalizzata di registratori multitraccia a cassette, che lascerei nelle mani di chi voglia usare un processo di registrazione full-analog molto specialistico e con forti connotazioni retro. Analogamente sono sconsigliati i modelli a “doppia piastra”, ovvero quei recorder che grazie alla presenza di due meccaniche erano dedicati alla duplicazione di nastri: in genere non hanno la qualità costruttiva e sonora dei modelli a meccanica singola.

Tascam 244, registratore multitraccia a cassette con dbx

Infine, una parola sui registratori ADAT, DAT, DCC, MiniDisc: sono tutti sistemi di registrazione digitale che sono apparsi all’inizio degli anni ’90 e che nulla hanno a che fare con la tecnologia e la sonorità della cassetta analogica. Se dunque è quest’ultima che cercate, i recorder digitali appena citati non c’entrano nulla e non vanno presi in considerazione.

 

L’acquisto di un deck a cassette (e delle cassette!)

Sono troppi i modelli che sono usciti nell’epoca d’oro dei registratori a cassette (indicativamente dal 1978 al 1985) perché io ne ne possa segnalare qualcuno in particolare. Soprattutto per un motivo: che se vuoi comprare qualcosa, devi prendere quello che trovi, e trattandosi di materiale a forte componente meccanica devi fare molta attenzione alle condizioni di salute della macchina. Quindi l’approccio che io consiglio è questo: cercare macchine con due caratteristiche ben precise, e cioè tre testine e regolazione fine del Bias. Come abbiamo visto sopra, tre testine servono per monitorare in tempo reale la qualità della registrazione (e quindi anche della saturazione man mano che si alza il recording level), mentre il Bias Fine serve per adattare l’intensità della premagnetizzazione al tipo di nastro che si userà. Ogni nastro infatti richiede una taratura del Bias diversa, e giocando con questo comando si può linearizzare e sfruttare al massimo la dinamica di un dato combo registratore/nastro, oppure andare di proposito verso risposte in frequenza più aperte in alto e distorsione maggiore. Il corollario è che bisognerà anche cercare cassette diverse e provare il suono di ciascuna: oggi su eBay e altri marketplace è possibile reperire nastri in cassetta in versione NOS, ovvero New Old Stock. In pratica si tratta di nastri prodotti all’epoca e rimasti nuovi imballati fino ad oggi. Il mio consiglio è di provare diversi modelli e poi scegliere quello che piace di più come suono e modulabilità. Personalmente adoravo i nastri TDK della famiglia Super Avilyn (SA e SA-X in sigla), ma soprattutto i Sony Metallic e Metal-XR, davvero strepitosi come dinamica ed estensione agli acuti.

Il mitico nastro TDK SA- Super Avilyin

Tornando ai registratori, il suggerimento è quello di restare sui modelli migliori di Akai, Aiwa, Nakamichi, Pioneer, Teac, Technics. Se si vuole una macchina col dbx, bisognerà guardare soprattutto al catalogo Teac. Trovata una macchina con queste caratteristiche, e tornando a quel che si diceva sopra, la cosa giusta da fare è andarla a vedere, niente acquisti a distanza: la meccanica deve muoversi senza problemi, la trazione del nastro e il riavvolgimento devono essere perfetti, il contagiri si deve muovere senza problemi o scattosità improprie. In macchine come queste può seccarsi la gomma del pinch roller (quella rotella grigio/nera in basso a destra nella meccanica) e quella delle cinghie interne della trasmissione. Può capitare che una cinghia ceda di schianto, specialmente in registratori fermi da decenni e rimessi in moto per la prima volta, ma si può cambiare, non è un dramma, basta trovare un ricambio adatto. Il pinch roller invece direi che è meglio trovarlo sano o abbandonare l’impresa. Infine le testine: devono essere lisce, specchiate e non usurate in maniera asimmetrica. Su recorder rimasti fermi dopo anni di uso, potrebbero essere ancora sozze di materiale magnetico depositatosi nel tempo: basta un cotton fioc e una passata di alcool isopropilico (no pulizie a secco!) fatta nella direzione del nastro. Due o tre pulite e le testine tornano a posto. Infine, la demagnetizzazione: le testine si caricano magneticamente dopo alcune decine di ore di uso, e quindi vanno smagnetizzate con l’apposito “ferro” smagnetizzatore o con un’apposita “cassetta”.

Una cassetta smagnetizzatrice di TDK

Nel primo caso si avvicina lo smagnetizzatore alle testine (senza toccarle) e lo si lascia in posizione per un paio di secondi. Nel secondo caso si inserisce la cassetta smagnetizzatrice e la si lascia lavorare 5/10 secondi. Anche smagnetizzatore o cassetta smagnetizzatrice possono essere acquistati NOS oppure reperiti tramite eBay.

 

È tutto, buona registrazione analogica!

Giulio Curiel

Giornalista della storica rivista Strumenti Musicali dal 1993 al 2016, ho scritto oltre 1200 articoli su synth, studio technology e computer music. Se non so di cosa parlo, sto zitto.

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