Audio 8D: un’analisi tecnica con Sabino Cannone
Quando si parla con un sound engineer pluripremiato le chiacchiere stanno a zero: è questo il nostro modo di analizzare il fenomeno dell’audio 8D di cui si parla tanto in questi giorni, con una disamina di cosa è veramente e quali prospettive pone questa nuova tecnologia (che – lo diciamo subito – non è né “nuova”, ne “tecnologia”…).
Oltre al famigerato Coronavirus c’è un altro contagio che si sta spargendo a macchia d’olio in questi giorni, e per fortuna è infinitamente meno nefasto: è quello del cosiddetto audio 8D, presentato come una “nuova tecnologia rivoluzionaria” dai siti tecnologico-qualunquisti che si occupano di smartphone, gaming, PC e video in un unico minestrone, ma accolto con infinito scetticismo dai tecnici del settore audio perché privo di basi documentali e dai risultati acustici discutibili. Tra musicisti e addetti ai lavori in molti si sono chiesti cosa sia veramente l’8D ma al momento mancano approfondite informazioni, e nel corso di questo articolo scopriremo perché.
Per andare al nocciolo della questione abbiamo allora scelto il nostro consueto approccio, ovvero quello dell’analisi tecnica. Per farla abbiamo disturbato un caro amico, il sound engineer Sabino Cannone che con il suo brand MoReVoX ha collaborato con innumerevoli artisti e produttori italiani e internazionali su centinaia di produzioni discografiche e ha sviluppato sound-library e plug-in utilizzati in tutto il mondo da artisti che spaziano da Peter Gabriel ai Depeche Mode, giusto per nominarne alcuni.
Sabino è anche un’autorità in materia di audio immersivo, ovvero quella branca di audio in cui ricade anche l’effetto 8D e che punta a mettere l’ascoltatore al centro di un panorama sonoro espanso: Cannone ha infatti sviluppato diverse library surround nonché installazioni tra cui recentemente Encounter Ocean Odyssey per il National Geographic a Times Square (NYC). È dunque lui la persona giusta cui chiedere lumi sull’8D, e noi prontamente lo abbiamo contattato.
New Musical Instruments: L’audio 8D sembra avere un grande e improvviso appeal sulle fasce meno tecnicamente preparate dell’utenza audio. Cosa sta succedendo e perché?
Sabino Cannone: La cosa è cominciata tre/quattro giorni fa, quando sono stato bombardato da queste tracce “8D”: me ne hanno parlato mia sorella, il mio commercialista, insomma persone che non c’entrano nulla con l’audio professionale, ma non solo… Ho allora voluto ascoltare questi brani, mi sono fatto la mia idea e ho capito immediatamente di cosa si trattasse visto che mi occupo di audio in 3D da vent’anni. Chi ha messo fuori i brani codificati in questa maniera è stato furbo a proporre qualcosa che esiste già come se invece fosse una cosa nuova. Di nuovo in realtà non c’è nulla perché utilizza le tecnologie di uso ormai comune da 40 anni: mi riferisco alla codifica binaurale, al riverbero e al panning 3D. La furbata dell’8D è che il panning segue in qualche modo l’andamento del riverbero, però alla fine parliamo di concetti di uso comunissimo per chi fa audio 3D e spazializzazione per il gaming e multimedia. Tutti gli esempi di audio 8D che senti usano le stesse tecniche già usate in precedenza: [parliamo di] ambienti virtuali per immergere l’ascoltatore in un campo sonoro creato a tavolino. Se la sorgente sonora si allontana viene abbassato il livello del suono diretto e aumentato quello del campo riverberato, se l’oggetto viene pannato alle spalle dell’ascoltatore allora il suono viene fatto diventare più scuro e altri processing per simulare l’effetto di abbattimento di certe frequenze dato dalla conformazione del capo dell’ascoltatore… Insomma sono elementi che chi mastica audio 3D conosce benissimo.
NMI: Dobbiamo infatti ricordare che la percezione spaziale di un suono da parte dell’uomo dipende dalla differenza di tempo di arrivo alle due orecchie, dalla differenza di fase e dalla differenza di composizione spettrale dei segnali posteriori e superiori a causa delle diverse attenuazioni di frequenza indotte dal corpo dell’ascoltatore a seconda della direzione di arrivo, giusto?
SC: Esattamente, questi sono i parametri fondamentali della spazializzazione. Chi sviluppa audio 8D in più ha aggiunto una stanza virtuale in cui calcola l’interazione delle riflessioni tra essa e il suono diretto, aggiungendo tale campo riverberato e modificato nei parametri che hai citato tu al segnale dry. È come se il “suono della stanza” si sommasse al suono del pezzo musicale. Io penso che tutto ciò sia interessante e l’esperienza dell’audio 8D ha un risvolto che non deve passare inosservato: se tante persone che non c’entrano nulla con l’audio professionale vengono affascinate da questo tipo di fruizione della musica allora c’è comunque del positivo in questa cosa. La musica deve suscitare un’emozione e quindi nel momento in cui una persona ha un’eccitazione emozionale sentendo un pezzo codificato in questo modo, allora questa modalità di veicolazione del brano ha una sua ragione di esistere. Anch’io ho letto tanti commenti su Facebook di tutti i “dottori dell’audio” che hanno evidenziato tutta la banalità tecnica dell’operazione 8D, ma chi propone musica codificata in tal modo non vuole stare su un piano accademico-scientifico inattaccabile. All’ascoltatore educato dà persino fastidio ascoltare un pezzo così tanto riverberato, iperprocessato e asimmetrico. L’audio 8D è come andare al cinema e vedere un film in 3D o in 2D: è ovvio che il 3D è una cosa che non rientra nei crismi di chi è appassionato di cinema tradizionale, però è una fruizione diversa dell’immagine da parte di un altro tipo di pubblico.
NMI: In effetti l’audio 8D è il primo fenomeno di spazializzazione audio che arriva “dal basso”: ricordo i primi esperimenti di Sennheiser con la testa binaurale del 1969, poi la quadrifonia degli anni ’70, poi gli esperimenti di spazializzazione con le linee di ritardo analogiche che alimentavano una coppia di diffusori posteriori, fino alle codifiche elettroniche di Dolby col Surround degli anni ’80 e ’90, per arrivare all’attuale esperienza dei sistemi posizionali a base algoritmica come il Dolby Atmos. Tutte queste esperienze sono venute dal mondo dell’audio “ufficiale”, passando dai white paper presentati alle convention dell’Audio Engineering Society per poi arrivare a prodotti commerciali realizzati da grandi marchi. Mi pare invece di capire che l’audio 8D viene dal basso, non ha una tecnologia univoca, non c’è uno standard tecnologico preciso… È la prima volta che succede una cosa del genere, no?
SC: Esatto: confermo che non è uno standard tecnologico anche perché chi sviluppa audio 8D non ha di fatto inventato nulla e quindi non può fare un white paper perché presumo dovrebbe dire che ha usato le tecnologie già usate. In effetti è addirittura difficile capire a chi faccia capo il fenomeno dell’8D. Vi sono dei siti (per esempio qui e qui) ove fare l’upload del brano e poi scaricarlo già spazializzato ma non hanno al momento servizi commerciali e non mi risulta che vendano ancora un encoder proprietario. Se per esempio prendi un prodotto per fare l’upmix da una traccia stereo a una traccia 5.1, esso può offrire tutte quelle caratteristiche di spazializzazione che senti anche nell’8D. La differenza però è che mentre tutti i software che creano questi upmix da stereo a 5.1 prevedono che tu utilizzi cinque diffusori fisici alimentati da canali distinti, l’audio 8D aggiunge un’ultima codifica in tecnica binaurale che riconduce tutto a uno stream stereo da ascoltare in cuffia. È però da escludere che l’audio 8D venga effettivamente ripreso da diffusori acustici separati: i suoi creatori simulano per via elettronica una diffusione multicanale e poi la renderizzano in binaurale. In pratica è come fare un upmix da stereo a multicanale con un tool per cinema o audio 3D, e subito dopo un downmix da multicanale a stereo, con la particolarità che quest’ultima fase prevede una codifica binaurale. Il processo è full-digital. I tool che possono venir usati sono tutti già esistenti da anni e producono un risultato che può essere ascoltato solo in cuffia.
NMI: Vedremo in futuro dei pezzi pubblicati nativamente in 8D?
SC: Non credo. L’8D non mi sembra un argomento che possa far vendere un disco in più. La cosa che però mi stupisce è che tanti pezzi 8D mi siano stati mandati nello stesso strettissimo intervallo musicale da tante persone diverse, alcune delle quali sono state proprio “rapite” da questa cosa. Non voglio dire “vox populi, vox dei” però quando ci sono un po’ di feedback di interesse verso qualcosa, quel “qualcosa” non si può ignorare. Io personalmente non ascolterei mai un brano in 8D, a meno che non sia stato concepito già all’origine in quel modo lì. Però capisco che se l’8D diventa un tool che per esempio posso mettere sul player audio del mio smartphone per ottenere una spazializzazione audio come voglio io, allora potrebbe diventare un business per certa fascia di utenza. Io stesso qualche anno fa avevo fatto una consulenza per un’azienda del mondo mobile per creare un tool per smartphone che codificasse in binaurale un mix multicanale. Tornando ai brani 8D, l’astuzia di chi li ha codificati è stata quella di inserire un riverbero “super-eccitante” che evidentemente incontra i gusti del pubblico generalista. Si crea così nell’ascoltatore una prospettiva sonora inedita, specie perché si tratta in genere di un soggetto che non ha avuto in passato alcuna esperienza di ascolto binaurale per cui egli viene spiazzato dal sentire dalle cuffie un campo sonoro come se provenisse dallo spazio reale. Non sto dando all’audio 8D una valenza scientifica perché non ce l’ha però di fatto se tanta gente posiziona la sua attenzione sulla qualità audio, allora questa cosa è da analizzare. Molto spesso l’ascoltatore comune non riesce a distinguere un MP3 a 128 kbps da un file Wav, ma poiché adesso viene rapita da questa sensazione differente suppongo che l’8D susciti un potere emozionale per molti. Può essere un potere di bassa lega però ce l’ha.